Tutti nello stesso Piatto 2019

Cambiamenti

Ambientali, politici, sociali, economici.

Cambiare casa, cambiare le proprie abitudini, volenti o nolenti, spinti da sogni, necessità, desideri, obblighi, sofferenza.

Proteggere chi non può proteggersi da pericolosi cambiamenti. Invocarli, in preda alla disperazione, i cambiamenti.

Questo, e davvero molto altro ancora, è stato magistralmente raccontato nelle scorse settimane lungo la valle dell’Adige.

Come ogni anno, e forse nel 2019 ancora di più, il Festival Internazionale tutti nello stesso Piatto, organizzato da Mandacarù Onlus regala preziosissime storie.

E noi come ISF Trento non cambiamo la nostra abitudine, e continuiamo a sostenere il Festival,  a credere nell’importanza della narrazione, dell’ascolto, della scoperta.

Anche quest’anno abbiamo accolto con gran piacere il ruolo di giuria studentesca del festival, assieme a Libera. E anche quest’anno ringraziamo chi ci ha coinvolto in questa esperienza.

Ecco di seguito i vincitori del Festival. Vi diciamo che scegliere non è stato facile. Vi diciamo anche che il Festival è prezioso, così come la Fondazione che sta nascendo da esso.

Ma non è finita qui, vi aspettiamo il 10 dicembre per il concerto di chiusura dell’edizione 2019, e di apertura di una grande altra  stagione Tutti nello stesso Piatto.

La Giuria assegna il premio per il migliore Fiction a
IL VEGETARIANO
Il Vegetariano, a discapito del titolo, è un film per niente banale che stupisce per la varietà delle tematiche affrontate e ben amalgamate nell’intreccio narrativo. Attraverso uno spaccato delicato e autoironico della comunità indiana insediata nelle campagne emiliane nei dintorni del Po, il regista narra in modo essenziale i ricordi, le speranze, i desideri e le difficoltà del protagonista in una continua escalation fatta di suspance e colpi di scena.
Gli attori, non professionisti ma quasi sempre all’altezza dei ruoli che interpretano, rappresentano un valore aggiunto rendendo la pellicola di grande impatto e donandole spontaneità e immediatezza. La fotografia è molto curata, nulla è lasciato al caso nella scelta di luci e colori.
Tutto il film è permeato da un profondo rispetto verso la vita in ogni sua forma, espresso in maniera poetica e commovente dalle riflessioni del protagonista. Bellissimo anche il richiamo alla sacralità dell’acqua, e originale la connessione creatasi nella narrazione fra il Gange e il nostro Po. Da far vedere agli adulti di domani.


La Giuria assegna il premio per il migliore Cortometraggio a
BROTHERHOOD
Un corto brillante e drammatico, in cui i personaggi ti si appiccicano sulla pelle. Il coinvolgimento dello spettatore è totale, grazie a delle scelte magistrali di ambientazione, scenografia, dialoghi, personaggi, che catapultano il pubblico nel bel mezzo dell’intimità di una famiglia della campagna tunisina.
Titolo, e narrazione, continuamente giocano sul doppio significato della parola brotherhood,
Ikhwène, che oltre al contesto familiare è utilizzata anche per identificare la controversa milizia religiosa islamista ”Fratelli Musulmani” . Il corto comincia con lo stravolgimento dell’equilibrio bucolico familiare, dato dal ritorno a casa del figlio maggiore dalla Siria, con una nuova moglie che mostra usi e tradizioni diverse.

Una crescente tensione tra il figliol prodigo e il padre, che non accetta simboli, estremismi e messaggi che il figlio potrebbe rappresentare, si sviluppa durante il corto, inframmezzata da viscerali legami di sangue e affetto.
A cosa porterà tale tensione? Riuscirà il padre a superarla e a gioire per la famiglia riunita? Questa lotta intestina del padre scorre parallelamente a scorci di vita dei 3 fratelli riuniti nell’affetto, in ambienti naturali rurali di forte serenità. Saranno qui le donne, madre e novella moglie, a districare la matassa dei cuori, a suon di piccoli gesti di apertura e ascolto. Il finale, drammatico, lascia lo spettatore in un turbinio di emozioni. Una storia al rovescio, che non ti aspetti, per ambientazione, personaggi, fisionomie, affetti. Un racconto che scardina, che indaga principi, etica, credo e legami di sangue in una cultura, quella islamica nordafricana e mediorientale, che non siamo soliti vedere raccontata così. Primo corto che arriva a testa, occhi e cuore.


La Giuria assegna il premio per il miglior Lungometraggio ex aequo a HONEYLAND E FUNAN

Honeyland è un film prezioso, come il miele di cui racconta.
Il regista e la troupe entrano con discrezione nell’intimità della protagonista Hatidze, anima antica, eroina in un mondo rurale spopolato; da subito lo spettatore è catturato dalla personalità e dall’etica di questa donna, l’empatia è una naturale conseguenza della sua generosità incondizionata e del suo buonumore. Sullo sfondo di una Macedonia selvaggia e bellissima conosciamo l’arte dell’apicoltura selvatica, praticata con grande dedizione e ascolto verso ciò di cui la natura ha bisogno per riprodurre I suoi cicli vitali in modo sano. La lealtà della protagonista nei confronti dell’ecosistema in cui la sua attività si inserisce è
perfettamente rappresentato dalla regola che impone di lasciare alle api una quantità di miele pari a quella prelevata dai favi e ci mostra un raro esempio di presenza umana integrata in un sistema naturale senza interferenze rischiose, che non lo depaupera e non vuole piegarlo alla logica della produzione intensiva per un commercio più redditizio.
La scelta coraggiosa di questa donna, il lavoro encomiabile della troupe nel raccontarla senza invadere la narrazione e la grande lezione di naturalità e di umanità che il film regala meritano il primo posto.


FUNAN Di Denis Do Con un film di animazione commovente, emotivo e pieno di momenti ricchi di suspence.
Il regista Denis Do ci apre uno spaccato di vita dei più terribili della storia dell’umanità.
È il 1975, siamo in Cambogia e il partito degli Khmer Rossi prende brutalmente il potere nel paese, evacuando le città ritenute “corrotte” e costringendo i cittadini a riorganizzarsi nelle campagne sotto il giogo di un’ideologia comunista purificatrice. Si rivelerà essere una deportazione e un genocidio dei più terribili della storia: ogni aspetto della vita quotidiana precedente non potrà più essere come prima e l’idea di famiglia verrà totalmente disintegrata sotto il peso di un “bene” comune che in realtà si rivela essere solo male. Denis Do ci racconta di come una madre e un padre facciano l’impossibile per cercare di trovare il proprio figlio dal quale sono stati forzatamente separati, presentandoci quella che fu la reale storia di sua madre.
Attraverso la delicatezza dei disegni, si crea un forte contrasto con la brutalità degli eventi raccontati che lasciano nello spettatore sia sbigottimento e rabbia per il non voler accettare certi episodi troppo insensati che commozione e amore verso una famiglia normalissima che si ritroverà, dopotutto, ad essere ancora più unita di prima.
Funan è un film di animazione davvero “potente”: si mostrano chiaramente tutti gli atti di violenza commessi dai soldati su donne, anziani, uomini e bambini. Ma è importante perché permette così di svelare una storia troppo poco raccontata e un genocidio troppo
poco conosciuto dalle giovani generazioni le cui ferite sono ancora ben impresse in Cambogia e nella sua popolazione. Ѐ importante dare voce a queste storie, anche per costruire una memoria viva che serva a non dimenticare mai le atrocità che “l’uomo” può commettere. Per non compierle nuovamente.


Menzione Speciale della Giuria su Diritti Umani: ex equo
Gaza
Di Palestina non si parla mai abbastanza. Gaza è il racconto diretto di storie, di umanità e di sogni vissuti nell’ingiustizia di una prigione a cielo aperto, in cui contemplare l’orizzonte libero guardando il mare non è un surrogato neanche minimamente accettabile dell’idea di libertà, eppure è l’unico modo per sentirne il profumo. Ogni scena di luoghi alla ricerca di uno spazio di identità che si allontani dalla sola idea di reclusione, sopruso e violenza, e ognuna delle persone che hanno offerto la loro testimonianza di resistenza, che hanno raccontato la loro ricerca di bellezza e senso dell’esistere in un mondo che mira a trascinarli nella disillusione si imprime negli occhi e nella mente dello spettatore, in cui riecheggia la “storica” domanda “come sono coinvolto io in tutto questo? Cosa posso fare per questi luoghi e queste persone?”. Film sincero e diretto, che merita di essere proiettato il più possibile per tornare ad alimentare un dibattito che deve sfuggire all’assopimento dell’accettazione più o meno celata di una situazione di enorme violazione di diritti umani.

Ghost Fleet

Flotta fantasma è un documentario che segue un piccolo gruppo di attivisti impegnati nella lotta allo sfruttamento dei lavoratori nei pescherecci illegali indonesiani. In una parte del globo in cui la risorsa ittica è sovra sfruttata, allontanarsi sempre più dalla costa è l’unica soluzione per mantenere alti i guadagni delle grandi società. Questo comporta per i pescatori ritmi di lavoro estenuanti e la possibilità di trascorrere periodi molto lunghi in mare aperto. In queste condizioni la disponibilità di lavoratori da
imbarcare risulta sempre più scarsa e la criminalità organizzata mette in atto veri e propri rapimenti. Patima Tungpuchayakul sta dedicando la propria vita a combattere lo sfruttamento di questi lavoratori. Il documentario tratta in modo preciso e completo la tematica dello sfruttamento, analizzando le condizioni di vita dei pescatori, costretti in alto mare anche per dieci anni.
La ricerca di due pescatori vittime di sfruttamento diventa l’occasione per narrare la complessità nel modo
degli ultimi, spesso fuggiti dopo anni di torture e sfruttamento, molti mutilati e senza la possibilità di tornare alla propria casa. Lo spettatore è colpito da una narrazione avvincente che contrappone momenti di forte drammaticità dati dalle intervisti ai sopravvissuti, a momenti d’azione girati durante le ricerche. L’attivismo di Patima e dei suoi colleghi nella lotta allo sfruttamento e una sensibilità politica che sembra alla fine
ridestata lasciano un senso di speranza e rivincita ma anche la consapevolezza che ci siano ancora molto da fare.


Menzione Speciale Cambiamento Climatico:

THE HUMAN ELEMENT
Il fotografo ed esploratore James Balog ci racconta, attraverso un attento reportage ampiamente commentato e le immagini scattate dalla sua onnipresente macchina fotografica, quelle che sono le conseguenze del cambiamento climatico sulle comunità umane presenti negli Stati Uniti. Protagonista indiscussa della pellicola è la Natura, che con la sua forza mutevole non solo modella continuamente l’aspetto del nostro pianeta Terra, ma anche modifica e rivoluziona lo stile di vita di molte popolazioni umane. Tuttavia, secondo la definizione usata proprio dal regista, oggi l’uomo stesso risulta essere “una forza tettonica”: così come i vulcani, i terremoti e i moti tettonici modificano la crosta terrestre, anche l’umanità, con la sua tecnologia, con i suoi bisogni per sopravvivere e con i suoi desideri ha rimodellato il globo intero. A fianco dei quattro elementi naturali: acqua, aria, fuoco, terra si inserisce quindi a pieno titolo un quinto
elemento; l’uomo, che è contemporaneamente dominatore e dominato. Ecco allora che Balog ci presenta le conseguenze di questi cambiamenti climatici che spesso non sono poi
così naturali, tramite fotografie spettacolari cariche di dolce speranza e inarrestabile potenza. Dai villaggi di pescatori sull’isola Tangier in Virginia minacciati dalle continue inondazioni dovute all’innalzamento del livello dei mari e dai sempre più frequenti tifoni fino alla comunità per asmatici di
Denver, dove decine di bambini sono costretti a continue cure per le malattie nate a causa del forte inquinamento dell’aria; dai boschi della California minacciati da incendi sempre più devastanti dove ogni giorno centinaia di pompieri rischiano la vita alle miniere di carbone del Kentucky dove un gran numero di minatori affrontano una crisi dovuta al cambio economico in atto, Balog ci porta direttamente al centro dell’azione, alternando momenti fortemente emotivi a momenti altamente educativi.
Consapevole dell’impatto dell’uomo sull’ambiente, l’esploratore alla fine pone la sua speranza proprio su questo quinto elemento, consapevole del fatto che esso sia il solo che possa riportare l’intero sistema in un perfetto equilibrio.
Perché votarlo come miglior film sui cambiamenti climatici?
Perché affronta in maniera chiara ed esplicita il rapporto tra uomo e natura, interconnettendoli e mostrando quelle che sono le conseguenze più o meno visibili di quei cambiamenti naturali verificatisi che fino a qualche anno fa non erano neanche lontanamente un problema: per esempio nessuno avrebbe mai pensato che interi villaggi potessero scomparire sommersi dall’oceano, che l’inquinamento dell’aria potesse arrivare a
livelli tali da provocare enormi problemi di salute, che gli incendi, una volta assai più piccoli e facilmente controllabili (addirittura venivano appiccati spontaneamente per ottenere nuovo suolo agricolo) potessero divenire talmente grandi da essere quasi totalmente ingestibili e da richiedere l’intervento di migliaia di pompieri. Perfino la spinta ad un mondo più pulito e sostenibile alla ricerca di fonti di energia alternative ha causato la caduta di quello che fu un vero e proprio impero fondato sul carbone e la necessità di molti minatori di dover ricominciare da qualcosa di nuovo.


Premio del pubblico per la migliore fiction a
IL VEGETARIANO
Premio del pubblico per il miglior Cortometraggio
BROTHERHOOD
Premio del pubblico per il migliore opera DIRITTI UMANI a:
GAZA
Premio del pubblico per il migliore opera Cibo e Sostenibilità Ambientale
LA FATTORIA DEI NOSTRI SOGNI
Premio del pubblico per il migliore opera Culture del Cibo
SEMBRADORAS DE VIDA

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